LA DOMANDA CHE RIVOLSI A GIOVANNI FALCONE SULLA TRASPARENZA DEL "SISTEMA ITALIA" - di Giuseppe Fortuna
Ho cercato, e trovato, a trent'anni esatti dalla strage di Capaci, l'audiocassetta di una conferenza tenuta il 30 novembre 1990 dal Dottor Falcone a Roma, alla Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, nel seminario "Professionalità e coordinamento per sconfiggere Cosa Nostra" al termine della quale avevo rivolto al magistrato la domanda e ottenuto le risposte che trascrivo a seguire con audio scaricabile DA QUI.
DOMANDA DEL MAGGIORE GIUSEPPE FORTUNA
PRESIDENTE: Avanti, signor maggiore, prego.
FORTUNA: Sono il maggiore Giuseppe Fortuna. Il dottor Falcone ci ha fatto un quadro veramente pessimistico …
FALCONE: Chiamiamolo realistico.
FORTUNA: Un quadro “agghiacciante”, lei ha usato questo termine. Ora, io credo che l’attacco della mafia alle istituzioni democratiche, perché di questo si parla e questa è la posta in gioco, si possa combattere esclusivamente con la trasparenza. Probabilmente c’è più bisogno di trasparenza in Italia che non di “glasnost” in Unione Sovietica.
Noi abbiamo un sistema economico che tollera abbondantemente, anzi si basa in buona parte, sull’economia sommersa, con la ricchezza che circola prevalentemente al portatore, e un sistema di rappresentanza elettorale in cui l’espressione della preferenza del singolo elettore viene mediata da strutture che della trasparenza sono la negazione.
Volevo chiedere se, anche in relazione a quello che sta succedendo a livello di integrazione europea, questo attacco mafioso possa portare all’esplosione di queste contraddizioni verso uno Stato che, anche a livello di pubblica amministrazione, sia realmente democratico.
RISPOSTA DEL DOTTOR GIOVANNI FALCONE
FALCONE: Questa è una domanda da cinque milioni di dollari! Comunque, è una buona domanda. Molto buona questa domanda.
Stamattina leggevo sulla stampa un articolo di De Mita in cui si riconosceva che il sistema dei partiti in Italia adesso è tale che non rappresenta più le speranze della gente. E quindi, essendo tramontato il sistema delle coalizioni di degasperiana memoria, o i partiti esprimeranno, attraverso la modifica del sistema elettorale queste nuove esigenze della società oppure ci sarà l’esplosione delle Leghe e così via.
Un’idea politica, che in buona parte credo sia condivisa un po’ da tutti i partiti sia pure sotto profili e angolazioni diverse, che indubbiamente è degna di rispetto ma che non è questa la sede per approfondire, né io sento di avere la capacità per discuterne.
Ma una cosa mi sembra importante. Queste analisi, queste valutazioni non devono servire, seppur espresse nella migliore buona fede, per sottrarci alle nostre responsabilità di servitori dello Stato, di soggetti istituzionalmente preposti alla repressione di questi fenomeni.
Perché una cosa è l’opera di bonifica e di prevenzione sociale, altra cosa l’opera di repressione.
Tempo addietro, anzi pochi giorni fa, in una affollata e partecipata assemblea di magistrati a Palermo, c’è stato chi, peraltro accogliendo larghi consensi, ha sostenuto che è inutile impegnarci in queste cose perché sarebbe come raccogliere, tentare di svuotare l’oceano con il secchiello. È stata molto appropriata la risposta di Armando Spataro, che credo conosciate tutti, il quale ha detto “Beh, anche se fosse questo il compito che ci viene assegnato dovremmo farlo comunque”.
E poi – scusatemi – se mi si dice che questa realtà, come da me descritta, è “agghiacciante”, per cui la mia valutazione sarebbe pessimistica, sono rammaricato di aver dato questa immagine: perché non è pessimistica.
Noi siamo uomini, come sono uomini questi che fanno parte di un altro versante, quello della criminalità organizzata. E come tutte le cose umane sono aggredibili e superabili. E non mi va nemmeno di pensare alle istituzioni come “altro da noi”, un vezzo che c’è soprattutto tra noi magistrati. Noi siamo le istituzioni! E non c’è una società che è “diversa” dalle istituzioni, non c’è un determinato gruppo politico, un determinato corpo istituzionale con cui dover stabilire se dialogare o non a seconda delle persone che ricoprono quell’incarico.
Io credo che spesso la difficoltà dei problemi e la complessità degli stessi sia un comodo alibi per non fare nulla.
Ricordo che all’indomani dell’omicidio di Ninni Cassarà a Palermo furono mandati – ovviamente, per pochissimi mesi! – i migliori investigatori d’Italia. E un agente di polizia mi disse sbalordito che, entrato all’Autoparco, s’era sentito dire dal maresciallo: “Oh, finalmente vedo un funzionario di polizia dopo vent’anni”. Cioè, quello che altrove è la regola in certe zone d’Italia non lo è affatto.
E qui colgo l’occasione per una doverosa e puntuale precisazione. Finiamola di dire che nell’Italia meridionale c’è la maggiore concentrazione di poliziotti di tutta l’Italia. C’è bisogno – sì! – di poliziotti, di carabinieri e di finanzieri. Ma c’è soprattutto bisogno di “investigatori”. Quella che deve migliorare non è la quantità. È la qualità Fino a quando non si comprenderà questo, si farà sempre e soltanto attività di facciata.
Questo è importante a mio avviso.